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Beigbeder e il Cerchio d’Oro di Sinek: due facce della stessa medaglia?

  • Immagine del redattore: Eleonora Guido
    Eleonora Guido
  • 9 feb
  • Tempo di lettura: 3 min

Oggi voglio proporvi un parallelismo intrigante, tra uno degli occhi più critici e cinici della pubblicità moderna, Frédéric Beigbeder, e il famoso "Cerchio d’Oro" teorizzato da Simon Sinek, che negli ultimi anni ha ispirato imprenditori e aziende di tutto il mondo.

Mentre Beigbeder ci illumina con una lucida e a tratti brutale analisi sui limiti della pubblicità, Sinek ci invita a trovare il “perché” dietro alle nostre strategie aziendali e ai nostri prodotti. Ma cosa succede se ci fermiamo a riflettere su entrambe le visioni? Forse, scopriremo che, nonostante tutto, siamo sempre alla ricerca dello stesso sogno.

Andiamo con ordine.


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Beigbeder e il cinismo della pubblicità

Frédéric Beigbeder, ex pubblicitario, nel suo libro "Lire 26.900" offre uno dei più celebri ritratti della disillusione verso il mondo pubblicitario. Un passo resta particolarmente impresso nella mente di chiunque lavori o abbia lavorato nel settore:

"Sono un pubblicitario: ebbene sì, inquino l'universo. Io sono quello che vi vende tutta quella merda. Quello che vi fa sognare cose che non avrete mai. (...) Io vi drogo di novità, e il vantaggio della novità è che non resta mai nuova. C'è sempre una novità più nuova che fa invecchiare la precedente. Farvi sbavare è la mia missione. Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità, perché la gente felice non consuma."

Questa dichiarazione, oltre a essere provocatoria, distilla la natura intrinseca della pubblicità in un’essenza di cruda onestà. Beigbeder sottolinea come i pubblicitari non vendano prodotti, ma sogni, illusioni. La promessa di una vita migliore, più bella, più felice, passa attraverso oggetti che, in fondo, non potranno mai colmare quel vuoto che tutti, consumatori inclusi, continuiamo a sentirci dentro.

Personalmente ho sempre amato questo passo, nonostante abbia lavorato nel mondo della pubblicità e, al contempo, sia una compratrice consapevole dei suoi trucchi. È un’autocritica tagliente, ma vera. Ogni tanto, dobbiamo ammetterlo, ciò che desideriamo non è il prodotto, ma il sogno che ci è stato venduto.

Il Cerchio d’Oro di Simon Sinek

Passiamo ora a una prospettiva completamente diversa. Simon Sinek, con il concetto di Golden Circle (il Cerchio d’Oro), propone una visione affascinante e diametralmente opposta al cinismo di Beigbeder. Secondo Sinek, le aziende di maggior successo non comunicano partendo dal “cosa” vendono, ma dal “perché” lo fanno.

Il Cerchio d’Oro è composto da tre livelli principali:

  1. Perché - Il motivo che ispira un’azienda, la sua causa, il suo scopo.

  2. Come - Il processo che distingue un’azienda nel realizzare ciò che fa.

  3. Cosa - Il prodotto o servizio specifico offerto.

Sinek usa Apple come esempio iconico di questa filosofia. Apple, dice Sinek, non vende computer o smartphone come semplici strumenti tecnologici. Apple comunica al mondo perché crede nell’innovazione e nel rompere gli schemi; i loro device sono semplicemente l’espressione tangibile di questa visione.

Un altro esempio? Nike non vende semplicemente scarpe da corsa. Ci invita a sfidare i nostri limiti, a “Just do it”, facendoci credere che con quelle scarpe possiamo essere atleti migliori.

Sinek suggerisce quindi che, per avere successo, le aziende devono partire dal “perché”, connettendosi con le emozioni e le motivazioni più profonde dei loro consumatori.

Beigbeder e Sinek a confronto

A prima vista, sembra che Beigbeder e Sinek parlino due lingue diverse. Da un lato, il cinico pubblicitario francese smonta l’illusione dei “perché” aziendali, riducendoli a semplici strategie per creare desiderio. Dall’altro, l’ottimistico Sinek suggerisce che il “perché” sia un percorso autentico per connettere aziende e clienti.

Eppure, qualsiasi consumatore perspicace percepisce che, in molti casi, il “perché” di Sinek e i sogni di Beigbeder sono la stessa cosa. Ci diciamo che Apple crede nell’innovazione, ma alla fine compriamo un computer. Ci diciamo che Nike ci ispira a spingerci oltre i nostri limiti, ma mettiamo nel carrello delle scarpe.

Forse non abbiamo bisogno di un “perché” autentico, quanto della promessa di qualcosa che ci faccia sognare. E forse va bene così.

Il “perché” esiste o lo vogliamo solo credere?

Il punto cruciale è questo: il “perché” serve a noi consumatori quanto ai brand. Probabilmente non corriamo più velocemente con le scarpe giuste, ma ci sentiamo meglio indossandole, pensando di esserci spinti un po’ più oltre. Magari un MacBook non rivoluziona le nostre vite, ma ci piace pensare di essere parte di una cultura che celebra la creatività e l’innovazione.

Alla fine, che si tratti della lucida onestà di Beigbeder o dell’ottimismo contagioso di Sinek, una cosa resta certa. Noi, come consumatori, continueremo a comprare sogni. E lo facciamo perché ci piace crederci, anche solo per un momento.

Lascia che il tuo brand trovi il suo equilibrio

Se sei nel mondo della comunicazione o del branding, pensa a questo equilibrio tra il “perché” e il sogno. Come puoi raccontare la tua storia per connetterti con il tuo pubblico, senza dover rinunciare alla trasparenza?

 
 
 

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